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Secondo i proponenti il cashback e la lotteria degli scontrini dovevano dare un colpo letale all’evasione o, quantomeno, ridurre drasticamente quella da omessa fatturazione che, in rapporto a quella totale, ha un’incidenza importante. Ricordiamo che, secondo il MEF, in Italia l’evasione fiscale complessiva ammonterebbe a 105 miliardi di euro all’anno. Di questo importo, 8,6 miliardi sarebbero “imputabili” al Veneto.
Entrambe le misure, purtroppo, sono state un flop, non hanno funzionato. O meglio, non hanno prodotto i risultati sperati. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Il cashback, ad esempio, è stato addirittura “archiviato” dal governo Draghi che, a partire dal giugno 2021, ne ha sospeso l’applicazione.
In primis perché non è emersa una evidente relazione causale tra gli incentivi previsti dal cashback e la diminuzione dell’evasione fiscale; in secundis perché il costo della misura, pari a 4,75 miliardi di euro, appare nettamente superiore alle potenzialità di recupero dell’evasione.
La lotteria degli scontrini, entrata in vigore il primo febbraio dell’anno scorso, sembra invece non aver sortito grande interesse tra i contribuenti/consumatori. Stando ai dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, se a marzo del 2021 gli scontrini mensili associati alla lotteria avevano sfiorato il picco massimo di 25 mila unità, successivamente c’è stata una costante contrazione; lo scorso autunno il numero mensile è sceso poco sopra le 5 mila unità. Si segnala che solo di alimentari e bevande analcoliche, le famiglie venete nel 2020 hanno realizzato acquisti mensili per quasi 1 miliardo di euro.
In linea puramente teorica è come se affermassimo che il nostro fisco dispone di 162 schede che riportano fedelmente la capacità reddituale, i consumi e il livello di ricchezza di ogni italiano. In altre parole, al fisco le informazioni sui contribuenti italiani certamente non mancano. Quotidianamente, infatti, l’Amministrazione Finanziaria riceve e cataloga miliardi di informazioni in ben 162 banche dati che, però, solo in piccola parte riesce a “utilizzare”, in particolar modo, per contrastare l’evasione fiscale.
Si stima che l’evasione fiscale in Italia ammonti a 105 miliardi di euro all’anno e che il gettito Irpef, la principale imposta pagata dagli italiani, costituisce per molti lo “strumento” per “misurare” le categorie meno fedeli al fisco. Nel dibattito politico-sindacale, ad esempio, si ripete ormai come un mantra che l’imposta sul reddito delle persone fisiche sarebbe pagata per quasi il 90 per cento da pensionati e lavoratori dipendenti. Segnaliamo che questa affermazione è del tutto fuorviante, perché sottende che in Italia a pagare la quasi totalità dell’Irpef sarebbero solo due categorie di contribuenti: quelle richiamate poc’anzi. In realtà chi continua a ripetere questa ovvietà è “vittima” di un grave abbaglio statistico/interpretativo. Se, infatti, è palese che oltre l’82 per cento dell’Irpef (e non il 90 per cento) è versata all’erario da pensionati e lavoratori dipendenti, questo avviene perché queste 2 categoria rappresentano quasi l’89 per cento del totale dei contribuenti Irpef presenti in Italia. Se si vuole dimostrare lo squilibrio del carico fiscale legato all’Irpef, la metodologia “corretta” consiste nel calcolare l’importo medio versato da ciascun contribuente facente parte di ognuna delle 3 principali tipologie che pagano l’imposta sulle persone fisiche: autonomi, dipendenti e pensionati. Applicando questa metodica, dagli ultimi dati disponibili sui redditi relativi al 2018 (fonte Ministero dell’Economia e delle Finanze), emerge che, mediamente, i pensionati pagano un’Irpef netta annua di 3.173 euro, i lavoratori dipendenti di 4.006 euro e gli imprenditori/lavoratori autonomi di 5.741 euro. Sia chiaro, l’evasione fiscale in Italia e in Veneto c’è ed è presente in tutte le categorie professionali, quindi, anche tra gli autonomi e gli imprenditori. Ci mancherebbe. Tuttavia, va contrastata ovunque essa si annidi, senza però accusare pregiudizialmente nessuno.
Written by: Redazione
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